sabato 19 maggio 2018

Sogno una scuola che si occupi della felicità degli individui


In questi giorni i ragazzi si stanno preparando per gli esami. Tra i miei figli quest'anno tocca a Marco con la terza media. Al Borgo sono in tanti e in diverse scuole. Incontriamo insegnanti e presidi appassionati di educazione e capaci di incontrare veramente ogni ragazzo e scoprire dietro l'alunno una persona unica. Purtroppo incontriamo anche tanti professori. Poco educatori. Attenti solo al programma che devono svolgere sulla testa dei ragazzi che hanno davanti. Convinti che questo sia il compito a loro affidato dalla società e dimentichi del fatto che se oggi insegnano è grazie a chi li ha saputi amare e far innamorare di ciò che ora vanno insegnando.
Ho ripreso in mano in libro di D'Avenia di cui vi ho condiviso qualche pagina nel precedente post.
"Sogno una scuola, Giacomo, che si occupi della felicità degli individui; e non intendo un luogo di ricreazione e di complicità tra docenti e alunni, ma uno spazio in cui ognuno trovi il dono che ha da fare al mondo e cominci a lottare per realizzarlo, in cui ciascuno trovi un’ispirazione che abbia la forza di una passione profonda, che gli dia energia per nutrirsi di ogni ostacolo. Sogno una scuola di rapimenti, una scuola come bottega di vocazioni da coltivare, mettere alla prova e riparare. Una scuola in cui l’insegnante sia il postino che porta le lettere di altri all’indirizzo di ogni studente. La scuola che ciascuno di noi ricorda in quel professore speciale, che ci ha guardato come qualcuno e non come qualcosa, cominciando così a farci fiorire."

"Quando ho portato la mia prima classe alla maturità, un gruppo molto motivato composto da ragazzi che amavano studiare, conoscere, approfondire, mi feci prendere dall’ansia da programma: fare il più possibile, nel miglior modo possibile. Consumavo le opere privilegiando il “da fare” anziché l’incontrare. La svolta avvenne quando un mio studente reagì in malo modo e chiese: “Ma a che serve fare tutto così, sempre in affanno, senza riuscire a trattenere nulla, perché non c’è il tempo di lasciarlo sedimentare?”. Mi fermai impietrito. Mi ero lasciato programmare dal programma, invece di mettermi al servizio della bellezza, del compimento delle vite a me affidate. A programma ci sono la vita e le sue stagioni, che hanno bisogno di silenzio e lentezza, come un seme che genera prima lo stelo, poi il fiore, poi il frutto, mentre le sue radici si approfondiscono di pari passo: “La ragione è, che la natura non va a salti, e che forzando la natura, non si fanno effetti che durino. Ovvero, per dir meglio, quelle tali transizioni precipitose sono transizioni apparenti, ma non reali” (“Dialogo di Tristano e di un amico”, Operette morali).

Sono convinto che se i nostri ragazzi avessero incontrato a scuola insegnanti/educatori così non sarebbero mai arrivati al Centro Accoglienza a dover recuperare gli anni persi. 
Sono convinto che se gli trasmettiamo la passione che abbiamo dentro riusciranno anche loro a scoprire la motivazione ad agire dentro di loro.
Mi piace pensare agli educatori dei nostri ragazzi cosi (perché in effetti sono cosi coloro che con passione e sacrificio si impegnano ogni giorno al Borgo):
"le persone che riparano il mondo sono quelle che amano ciò che fanno, indipendentemente dalla grandezza di ciò che fanno. La loro vita modula un canto continuo, ed emanano una luce che non appartiene loro e che sembra attraversarle, un profumo che si espande a loro insaputa".