lunedì 25 aprile 2016

La Paura del Domani

A volte capita che un motivetto ti si fissa in testa e lo  ripeti quasi senza pensarci. Così è capitato a me oggi  con questa vecchia canzone di Eugenio Finardi che a dire il vero non è neanche propriamente una canzone. E' una poesia con dei suoni di fondo che accompagnano il testo.
Quando avevo una ventina di anni ricordo di averla scoperta e di averla trascritta per poi imparare a memoria il testo. Ho proprio fatto come si usa a scuola. Ho ripetuto verso per verso fino ad impararla tutta e ancora oggi la ricordo. Mi ha trasmesso una forza  in tanti momenti della mia vita, mi sembra proprio molto attuale nel cammino di chi cerca di diventare uomo oggi nonostante sia stata scritta a metà degli anni settanta:
La paura del domani è sbagliata e tu lo sai
perché porta alla rinuncia che non serve mai
e non voglio dir con questo che bisogna ignorare
cosa c'è di sbagliato e tirare a campare.
Ma l'ottimismo non è esser ciechi ai problemi della vita
ma cercare senza arrendersi mai una giusta via di uscita.
E' poi dai è tanto comodo essere  cinici e delusi
per non farsi coinvolgere ed agli altri essere chiusi.
Evitar sempre di scegliere se stare di qua o di là
ed uccidere con il sarcasmo ogni responsabilità.
Ma lo so che non è facile darsi da fare
spesso sembra quasi impossibile che qualcosa possa cambiare.
Ma forse se ci si mette in tanti ci si potrà anche riuscire
in fondo che altra scelta c'è bisognerà pure provare.
Perciò esci nelle strade del mondo  ed entra tra la gente
il futuro che ti scegli te lo crei nel presente.
Perciò esci nelle strade del mondo  ed entra tra la gente
il futuro che si sceglie lo si crea nel presente

In effetti oggi tante persone e tanti giovani che incontro hanno paura del futuro. Come dargli torto? La crisi che non sembra terminare, le istituzioni che sembrano incapaci di avere uno sguardo un po' ampio per il bene comune, la corruzione, l'individualismo, il terrorismo, le guerre, gli spostamenti di interi popoli. Sento, parlando con le persone,  che la paura non si può dire giusta o sbagliata, è semplicemente reale e a volte si trasforma in panico.
Ma anche io credo che qualcosa non va se "porta alla rinuncia che non serve mai", che non è facile non "tirare a campare" ma  vivere "cercando senza arrendersi mai una giusta via di uscita" sapendo che non c'è altra  scelta, "bisognerà pure provare".
Non è certo il risultato, non c'è già una soluzione, ma è tracciato un atteggiamento, un modo di camminare andando in una direzione e non girando a vuoto: "esci nelle strade del mondo ed entra tra la gente il futuro che ti scegli te  lo crei nel presente". E' più bello vivere cosi! Anche perché se è comprensibile la paura, non se ne può più di sentire persone che sanno solo lamentarsi e piangersi addosso senza rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco in prima persona.
In effetti a pensarci bene è proprio "comodo essere  cinici e delusi per non farsi coinvolgere ed agli altri essere chiusi" e "uccidere con il sarcasmo ogni responsabilità", dire che non serve a niente impegnarsi e fare qualcosa tanto non cambierà mai nulla...
Oggi, in questo momento storico, con i problemi che ci sono,  possiamo diventare più umani così, aprendoci  e non chiudendoci  a quello che è la  realtà. Consapevoli che nel  modo con cui viviamo, nella  semplicità della vita  quotidiana possiamo già fare qualcosa e poi "se ci si mette in tanti si potrà anche riuscire"... guardando alla storia mi sembra di poter dire che è andata così anche in passato, e a volte si sono visti cambiamenti apparentemente impossibili agli occhi di tanti ma non di tutti...

"Non avere paura del domani 
perchè in fondo oggi è il giorno 
che ti faceva paura ieri" 
(Bob Marley)

sabato 9 aprile 2016

Cosa avrà fatto il Padre Misericordioso finita la festa?

Lavoro in un centro di accoglienza per ragazzi e quindi ho la fortuna e la gioia di poter riaccogliere a braccia aperta tante volte i ragazzi che se ne vanno per la propria strada rifiutando la proposta iniziale. E’ sempre una esperienza molto bella. Accoglierli contenti di rivederli quando tutto faceva pensare che non sarebbero più tornati.
Poi però una volta riaccolto il ragazzo ha bisogno di capire cosa deve e può fare. Non sempre la proposta inziale è ancora valida e possibile da percorrere… il posto in casa famiglia non c’è più, il corso ormai è finito… o pieno...  quella proposta di lavoro è stata presa da  un  altro… certo rispetto alla scuola possiamo  non dover sottostare a regolamenti scritti a tavolino, spersonalizzati  e uguali per tutti come  il numero di presenze, gli orari, le conoscenze e le competenze. Possiamo veramente con creatività confezionare un abito su  misura. Comunque può essere che non sarà l’abito progettato inizialmente anzi spesso è così.

Allora penso al Padre della parabola, finita la festa per il ritorno del figlio tanto atteso. Il giorno dopo, si sarà dovuto mettere a tavolino con questo il figlio e forse anche con l’altro ormai rassegnato, anche se non ancora convinto, della decisione del padre. Avranno dovuto stabilire in che modo il figlio sarebbe  ritornato in casa e  al lavoro, in quale ruolo, con quali risorse e con quale paga visto che parte dell’eredità è stata comunque dilapidata.
Non si dice nulla di questo, si vuole sottolineare solo la bontà del padre capace di riaccogliere, sicuramente più e  più volte. Si perché non credo che il figlio sia diventato improvvisamente  perfetto dopo tutto quello che aveva passato e con tutto quello che si era bevuto… 
Peccato non  ci sia una parabola che ci aiuta a capire il dopo. Dai ragazzi e da tanti “padri-educatori” osservati mi sembra di aver capito  che si può riaccogliere anche più volte senza dimenticare il passato ma anche senza farsi condizionare dal passato. Che le cicatrici rimangono e vanno accettate come limiti inevitabili che rendono comunque il rapporto diverso. Mi piace pensare che diverso significhi una cosa nuova e anche arricchita dalla rielaborazione degli errori commessi.
D’altra parte il padre-educatore non  potrà non continuare a fare i conti con l’altro fratello, quello ligio alle regole,  che continuerà a puntare il dito e a sottolineare ad ogni più piccolo errore limiti ed errori dell'altro: “lo vedi! Non è cambiato per niente! Andate in quel posto lui, tu e la tua bontà! Non dovevi riaccoglierlo!".
Io credo che con santa pazienza il padre avrà continuato ad amare entrambi i figli accettando le rispettive fragilità, accompagnandoli nel percorso della vita senza fargli mancare il proprio sostegno. Troppo buono? Sicuramente più buono di quando ciascuno di noi è capace. Di una bontà che sa accogliere l’uomo e valorizzarlo così come è, comprendendo senza colludere con il male.
Mi piace pensare che a lungo andare questo atteggiamento del padre si sia riversato sui figli e che a loro volta siano diventati a modo loro dei padri misericordiosi. Mi piace pensare che gli stessi figli siano diventati capaci di perdonarsi a vicenda tra loro, se non per convinzione, almeno per amore di questo padre che li voleva uniti.
Mi piace immaginare che dopo la morte del padre il più piccolo abbia detto all’altro: “a me non spetta nulla, ho già avuto la mia parte a suo tempo”. E che l’altro abbia risposto: “non fare  lo scemo, rimaniamo insieme  e  facciamo a metà,  papà avrebbe  voluto così”.

Mi piace pensare che l’amore avrà trionfato anche sulla giustizia oltre che sul rancore.
Forse mi immagino sia andata così perché chi ha raccontato questa storia per primo si è comportato in questo modo e anche perché non posso non osservare guardandomi intorno che non solo l’odio genera odio e la violenza genera violenza, ma anche l’amore porta amore e il perdono suscita il perdono.

Così come capita con i nostri ragazzi: riaccolti di nuovo ricominciano con slancio, poi ricadono, poi ricominciano, poi ricadono di nuovo. Ma se gli diamo ancora un’altra e un’altra possibilità allora ad un certo punto scatta qualcosa dentro di loro (certo mica  in tutti… o meglio non in tutti in poco tempo… ma questa è un’altra storia…), si sentono accettati così come sono e cominciano a cambiare, addirittura a riconoscere che gli si vuole bene, addirittura cominciano a ri-cambiare, e qualche anno dopo più di qualcuno viene a raccontarti non più di come ha dilapidato l’eredità delle risorse messe a disposizione ma di come ha cominciato a costruire una propria storia  e progetto di vita.
Ecco un modello a cui ispirarmi nel mio cammino di apprendistato senza pretendere di divenire proprio così… perché dentro di me c’è sempre anche il figlio ribelle che ogni tanto parte per la tangente… e qualche volta anche quello maggiore che punta il dito...e continuo ad aver bisogno di un Padre…