domenica 9 dicembre 2018

E' possibile! Si, è Possibile!


Ogni anno dedichiamo in autunno un w.e. alla formazione. Tutti insieme: operatori professionisti, volontari, famiglie, vengono con noi anche i ragazzi della casa famiglia. Quest'anno visto che il Borgo Ragazzi Don Bosco compie 70 anni e che nasce da quello che in origine era un forte militare, il Forte Prenestino, ci siamo detti: andiamo a Torino dove ha avuto origine il sogno di Don Bosco e andiamo a visitare il Sermig, l'Arsenale della Pace. Il Borgo ha scelto lo slogan "da 70 anni casa di pace per i giovani". E  quindi volevamo  ripercorrere quello che un gruppo di giovani ha fatto a Torino a partire dagli anni '60: credere che la pace è possibile mettendosi in gioco personalmente. L'arsenale della Pace è un posto che parla da solo. Una vecchia e immensa fabbrica di armi che oggi accoglie fino a 2000 persone al giorno. una miriade di progetti di Pace in tutto il mondo!
Naturalmente al termine della visita dopo la Messa nella chiesa interna allestita proprio con i resti di quanto trovato nella fabbrica, non ho potuto resistere alla tentazione... Nella libreria ho comprato due libri di Ernesto Oliviero il fondatore del Sermig. "Dio non guarda l'orologio" e "E' possibile". Li ho finiti di leggere in questi giorni.
Un messaggio di Speranza che parte dai racconti di vita più crudi e difficili.
Proprio quello che ci serve oggi  in cui spesso ci sembra che niente può cambiare e migliorare e ci abbandoniamo al pessimismo o al senso di impotenza o alla rabbia senza sbocchi.
E' possibile! Lo dimostra la storia di questo posto... come anche la storia del nostro amato Borgo Ragazzi don Bosco che potrebbe allo stesso modo raccontare tante storie di ragazzi che hanno potuto riprendere in mano la propria vita già segnata e riuscire a realizzare i propri sogni.

"Ogni fatto di speranza è ripetibile, a portata di mano di ogni uomo e di ogni donna, a qualsiasi latitudine. Se un uomo o una donna imparano a non vedere nell'altro un nemico, un affare, un problema, entrano nel campo delle opportunità. Perché nell'altro ci possiamo rispecchiare, nell'altro possiamo trovare un riflesso di sapienza, un maestro... mi sono lasciato incontrare da migliaia di persone povere o ricchi... e ogni incontro ha allargato il mio cuore e la mia mente, mi ha reso diverso. Non è retorica quando dico che sono un bambino di strada, una prostituta, uno straniero, un malfattore. Conosco il dolore, conosco i limiti, conosco le contraddizioni della vita, ma in tutto questo ho scoperto la speranza."
E' possibile credere che il bene esiste se ciascuno di noi riesce a compiere azioni buone. 
"Si è possibile! E' possibile ricominciare con un mondo nuovo di fraternità e di pace... me lo ricorda ogni giorno il volto della sofferenza che non rinuncia alla speranza, la bellezza che a volte si nasconde nella fatica"
Grazie Ernesto! Un motivo in più oltre a Don Bosco per venire dalle parti di Porta Palazzo a Torino, veramente un posto incredibile: tra tanta povertà un luogo dove succedono da secoli ormai cose sante... 
Mi sembra un ritornello da ripetere a me stesso con fiducia ed entusiasmo: "E' possibile!".
Mi sembra un buon incontro proprio adatto a questo periodo di Avvento in cui nel cammino per diventare uomo o ascolto e faccio crescere la Speranza dentro e fuori di me o non potrò veder nascere vita nuova e fare Natale... 


domenica 7 ottobre 2018

Prima gli italiani!?!


Quando avevo 14 anni e la comunità europea muoveva i primi passi mi fecero fare a scuola un questionario che mi è rimasto sempre impresso. Mi chiesero tra le altre cose se mi sentivo di più un cittadino di Roma, d'Italia, D'Europa o del Mondo. Istintivamente risposi di Roma (avrei voluto addirittura dire della Roma!), poi d'Italia. Il resto mi sembrava troppo lontano. 
Crescendo e girando un po' il Mondo e soprattutto incontrando tante diverse persone,  la mia scala di appartenenza si è necessariamente e decisamente invertita. 
Condividendo pezzi di vita con persone di culture, nazioni, religioni diverse mi si è aperto – proprio come si dice - un mondo. Il mondo.
Oggi mi sembra di sentire tante persone – ma ahimè ben più adulte dei 14enni di ieri e di oggi– che continuano a pensare che l'unica appartenenza che avvertono è sentirsi parte della propria città e nazione. Gli altri sono avvertiti come stranieri ed estranei possibilmente da tenere lontani con tutti i mezzi possibili. 
E' per questo, credo, che chi dice “prima gli italiani!” ha ragione su un punto: dobbiamo cominciare dai nostri concittadini a far comprendere che l'essere nato in una città o in un'altra, in una cultura o nazione, in una famiglia ricca o povera o disperata è un accidente e non un merito personale. Che per poter giudicare la vita di un altro bisogna essersi messi nei suoi panni, occorre toccare con mano la sua situazione. E allora forse si capisce perché si lascia tutto per provare a cercare una vita migliore. Che spesso la storia la scrivono i ricchi ma ne fanno parte tutti. Che è giusto cercare di far crescere ogni cultura e stato ma che il mondo è uno ed è giusto che se io - nato in Italia - ho avuto diritto ad un passaporto che mi ha consentito di girare e conoscere il Madagascar, il Paraguay, l'Albania... è giusto pensare che la stessa cosa deve essere permessa a chi proviene da questi e da qualsiasi altro paese.
Ma “prima gli italiani!” significa per me investire tempo e spazio nel dare la possibilità a tanti  amici e concittadini di uscire dall'ignoranza (nel senso di non conoscere proprio) il valore della persone, delle lingue, delle diversità umane perchè non si facciano prendere dalla paura del diverso e sopratutto non cerchino privilegi personali ma la crescita di tutta la comunità umana almeno nella porzione di spazio e di tempo dove sono/siamo capitati. 
Più che la scuola possono aiutare esperienze personali di incontro che dovrebbero poter fare tutti gli italiani. 
Io spero che “Prima gli italiani!” voglia significare che siamo i primi a comprendere che l'accoglienza è il primo nome della pace, che la giustizia e la politica significano mettersi in gioco in prima persona, fare la propria parte sempre e comunque ciascuno secondo le proprie possibilità.
Purtroppo ancora non è così. Ma la colpa non è solo dei politici che fanno la voce grossa. La responsabilità è di ciascuno. Di ogni uomo e donna. E' anche mia e tua! Soprattutto quando ci contrapponiamo di fronte alle difficoltà cercando prima il proprio interesse piuttosto di metterci insieme a ragionare e a cercare con creatività ed entusiasmo le risposte possibili...



domenica 8 luglio 2018

L'elogio della debolezza

Nel precedente post ho trascritto alcuni brani dell'arte di essere fragili... continuo con queste riflessioni andando a ripescare un libretto comprato circa quindici anni fa mentre mi trovavo al Santuario francescano della Averna. Ero andato per un ritiro e dopo un lungo peregrinare solitario sono entrato nella libreria antistante la chiesa. In silenzio, cercando un ispirazione per la mia riflessione. Mi sono imbattuto in questo libretto dal titolo intrigante: "ELOGIO DELLA DEBOLEZZA" di Alexandre Jollien.
Sul retro di copertina la frase:
"- Sentirti debitore verso gli altri non ti amareggia? 
- Al contrario. 
Penso che si tratta di una ricchezza...
 Al cuore della mia debolezza posso apprezzare il dono
 della presenza dell'altro 
e a mia volta cerco di offrire agli altri
la mia umile e fragile presenza con i mezzi di cui dispongo".
Mi è bastato questo per comprarlo e leggerlo e rileggerlo a distanza di tempo. L'autore - un filosofo disabile cresciuto da ragazzo in un istituto immagina di dialogare con Socrate e di rileggere la sua esperienza.
"l'individuo debole non rappresenta necessariamente un peso per l'altro. Ognuno dispone liberamente della propria debolezza: è pienamente libero di usarne saggiamente... Assumere fino in fondo la propria debolezza rimane una lotta ad ogni istante".
Un insegnamento profondo che arriva non da dotte riflessioni ma da incontri umani. Ci salvano i ragazzi più in difficoltà. Non c'è dubbio. a lui come a noi.
Trascrivo una pagina emblematica del libro e della vita dell'autore che ci dice tanto su cosa stabilisce il valore di una persona, andrebbe letta e riletta ogni volta che vogliamo riflettere su cosa significa essere uomini:
"ALEXANDRE: Spesso la sera smarrito nei miei pensieri, invidiavo la sorte degli altri bambini: dormivano a casa propria, condividendo piacevoli momenti in famiglia. Io invece me ne stavo la, solo senza sicurezze. Una luce fioca illuminava i dormitorio silenzioso, occupato da personaggi curiosi: un nano, che dormiva con i pugni chiusi, un muto che non parlava  ma non per questo rinunciava a russare sonoramente; di fronte Jeromè, dallo sguardo profondo, che mi osservava attentamente. Una volta, con sforzo sovrumano e voce spenta, mi lanciò un "comme tai?"
L'idea che Jeromè, paralizzato in fondo al letto, si inquietasse per le mie infime preoccupazioni mi sconvolge ancora oggi. Non mi aveva fatto discorsi di coraggio, sulla necessita di pensare positivo come propone la letteratura edificante, ma con parole semplici - "Comme tai? - aveva detto tutto. Il suo sostegno era totale.
Si ha sempre di più la tendenza a escludere il diverso, l'inutile, lo straniero, l'altro... Jerome non poteva fare nulla fisicamente. Dopo aver valutato le sue potenzialità, lo qualificavano tranquillamente come "non redditizio". Eppure mi ha insegnato, meglio di chiunque altro il "duro mestiere di uomo".
SOCRATE: Cosa intendi esattamente con questa espressione?
ALEXANDRE: " Al Centro , prendevamo rapidamente coscienza del fatto che non ci sono mai acquisizioni definitive nella vita. Ogni giorno dovevamo rimetterci all'opera, risolvere le difficoltà, una a una, assumere la nostra condizione, restare in piedi. Ecco il nostro lavoro, la nostra autentica vocazione, quello che io chiamo il mestiere di uomo".
Dedicato a tutti i nostri ragazzi in difficoltà spesso considerati "non redditizi"... e a tutti gli apprendisti uomo che conosco...

sabato 19 maggio 2018

Sogno una scuola che si occupi della felicità degli individui


In questi giorni i ragazzi si stanno preparando per gli esami. Tra i miei figli quest'anno tocca a Marco con la terza media. Al Borgo sono in tanti e in diverse scuole. Incontriamo insegnanti e presidi appassionati di educazione e capaci di incontrare veramente ogni ragazzo e scoprire dietro l'alunno una persona unica. Purtroppo incontriamo anche tanti professori. Poco educatori. Attenti solo al programma che devono svolgere sulla testa dei ragazzi che hanno davanti. Convinti che questo sia il compito a loro affidato dalla società e dimentichi del fatto che se oggi insegnano è grazie a chi li ha saputi amare e far innamorare di ciò che ora vanno insegnando.
Ho ripreso in mano in libro di D'Avenia di cui vi ho condiviso qualche pagina nel precedente post.
"Sogno una scuola, Giacomo, che si occupi della felicità degli individui; e non intendo un luogo di ricreazione e di complicità tra docenti e alunni, ma uno spazio in cui ognuno trovi il dono che ha da fare al mondo e cominci a lottare per realizzarlo, in cui ciascuno trovi un’ispirazione che abbia la forza di una passione profonda, che gli dia energia per nutrirsi di ogni ostacolo. Sogno una scuola di rapimenti, una scuola come bottega di vocazioni da coltivare, mettere alla prova e riparare. Una scuola in cui l’insegnante sia il postino che porta le lettere di altri all’indirizzo di ogni studente. La scuola che ciascuno di noi ricorda in quel professore speciale, che ci ha guardato come qualcuno e non come qualcosa, cominciando così a farci fiorire."

"Quando ho portato la mia prima classe alla maturità, un gruppo molto motivato composto da ragazzi che amavano studiare, conoscere, approfondire, mi feci prendere dall’ansia da programma: fare il più possibile, nel miglior modo possibile. Consumavo le opere privilegiando il “da fare” anziché l’incontrare. La svolta avvenne quando un mio studente reagì in malo modo e chiese: “Ma a che serve fare tutto così, sempre in affanno, senza riuscire a trattenere nulla, perché non c’è il tempo di lasciarlo sedimentare?”. Mi fermai impietrito. Mi ero lasciato programmare dal programma, invece di mettermi al servizio della bellezza, del compimento delle vite a me affidate. A programma ci sono la vita e le sue stagioni, che hanno bisogno di silenzio e lentezza, come un seme che genera prima lo stelo, poi il fiore, poi il frutto, mentre le sue radici si approfondiscono di pari passo: “La ragione è, che la natura non va a salti, e che forzando la natura, non si fanno effetti che durino. Ovvero, per dir meglio, quelle tali transizioni precipitose sono transizioni apparenti, ma non reali” (“Dialogo di Tristano e di un amico”, Operette morali).

Sono convinto che se i nostri ragazzi avessero incontrato a scuola insegnanti/educatori così non sarebbero mai arrivati al Centro Accoglienza a dover recuperare gli anni persi. 
Sono convinto che se gli trasmettiamo la passione che abbiamo dentro riusciranno anche loro a scoprire la motivazione ad agire dentro di loro.
Mi piace pensare agli educatori dei nostri ragazzi cosi (perché in effetti sono cosi coloro che con passione e sacrificio si impegnano ogni giorno al Borgo):
"le persone che riparano il mondo sono quelle che amano ciò che fanno, indipendentemente dalla grandezza di ciò che fanno. La loro vita modula un canto continuo, ed emanano una luce che non appartiene loro e che sembra attraversarle, un profumo che si espande a loro insaputa".

domenica 8 aprile 2018

"Non sopporterei una vita senza passione per la vita": l'arte di essere fragili...

Mi regalano un libro:"L'arte di essere fragili: come Leopardi può salvarti la vita". Alessandro D'Avenia. L'autore mi piace, di Leopardi ho un ricordo sfumato ma sinceramente riconoscente per alcuni suoi versi che ho ancora scolpiti nella mente nonostante la scuola abbia fatto di tutto per farmene avere una idea triste e negativa.
Come faccio di solito quando inizio un nuovo libro apro la copertina e firmo sul frontespizio mettendo la data di inizio della lettura. Mi soffermo sulla dedica: "A tutti i ragazzi e le ragazze ai quali sono state spezzate le ali prima di spiccare il volo. A tutti gli uomini e le donne che difendono le cose fragili, perché sanno che sono le più preziose".
So già che la lettura mi appassionerà: mi ritrovo nella dedica fin dentro il midollo.
"Dove tende questo vagar mio breve?" (G. Leopardi - canto notturno di un pastore errante dell'Asia)
Poesia e ricerca di senso. Domande senza risposta e poesia che diviene ricerca appassionata e appassionante.
Così il libro è un dialogo con Leopardi che ripercorre le tappe della sua vita e di quella di ciascuno di noi di domanda in domanda stimolando la ricerca: "Rispondevi domandando, perché la risposta vera non è quasi mai la soluzione che fa sparire il problema, la risposta è l'apertura alla vita, di cui il domandare è segno".
Nel parlare a noi adulti che vogliamo accompagnare la crescita dei ragazzi l'autore parla molto chiaro: "Incontro centinaia di ragazzi, e centinaia sono quelli che mi scrivono, stufi di non sapere per cosa giocarsi quell'infinito che sentono nel cuore. Vogliono progetti, non oggetti. Mentre noi cerchiamo di soddisfare il desiderio con le cose, loro chiedono quello che il desiderio contiene: la speranza dell'impossibile reso possibile... Questa generazione vuole testimoni, prima che maestri... le passioni si risvegliano a contatto con il fuoco, non con le istruzioni per accenderlo."
Allora per noi apprendisti della vita la lezione è molto chiara, non solo accettare le nostre fragilità, ma scoprire come proprio attraverso di esse possiamo cogliere l'essenziale:
“Sperare non è un vizio dell’ottimista, ma il vigoroso realismo del fragile seme che accetta il buio del sottosuolo per farsi bosco”.
“L’arte di rinascere è allora l’arte di amare, perché solo chi ama fa qualcosa di bello al mondo. Solo l’amore ci consente di affrontare lo scandalo della fragilità del nostro essere, un amore che non dovrebbe mai venir meno nonostante le nostre insufficienze, capace di farci accettare e far fiorire il nostro destino… Non possiamo avere un destino e una destinazione,  senza un amore che abbia fede in noi prima che noi in lui. Questo amore io l’ho trovato in Dio. Credo che le nostre carenze di destini, e quindi di felicità, siano carenze di amore, di un amore infinito, che scelga, abbracci e ripari, oggi e sempre, ogni limite della nostra fragile esistenza, perché raggiunga il suo compimento” (Alessandro D’Avenia  - L’arte di essere fragili”)
Alla fine riscopriamo che vivere cercando, vivere senza nascondersi dietro i propri limiti e i fatti della vita ma assumendoli diviene la strada che ci conduce a noi stessi e, quindi di passaggio in passaggio, alla felicità:
"Meglio un quieto sopravvivere o un inquieto vivere?"

"Essere fragili costringe ad affidarsi a qualcuno , e ci libera dall'illusione di poter fare da soli, perché la felicità si raggiunge sempre almeno in due"

"Il compito di ogni essere unano, anche il più fragile, è rimanere fedele a se stesso"

Vivere senza passioni e senza farsi troppe domande forse può apparire apparentemente un vivere più spensierato: "Dilaga, in un mondo che cerca il comfort in ogni angolo della vita, un paradossale non saper più stare al mondo, a forza di consumarlo, Per imparare a stare e poi a dare bisogna pazientemente 'sostare'. Tu mi hai insegnato, Giacomo, cose si può stare al mondo in ogni istante, abitare ogni minuto, qualsivoglia sia la condizione che ci è dato di abitare, per trovarvi bellezza. In che modo? Con quello che chiamiamo ispirazione"... niente come l'ispirazione è capace di illuminare la nostra vita quotidiana dal di dentro, con quella luce che rende ogni nostro gesto autentico e ogni nostra opera feconda, indipendentemente dal risultato".
E' proprio un'arte imparare a vivere accettando ogni istante facendolo diventare vita...

domenica 18 febbraio 2018

Mi dimentico dell'arcobaleno...

Tante volte mi dimentico dell'arcobaleno. Mi dimentico che esiste l'Arcobaleno. Mi dimentico il messaggio di speranza e di stupore che porta con sé.
La pioggia, il mal tempo, le devastazioni non posso dimenticarmele irrompono e rompono i miei equilibri e i miei piani. Posso accettarli o meno, ma ci sono.
L'arcobaleno invece presuppone che io alzi lo sguardo. Presuppone che io sappia guardare il cielo oltre i palazzi, oltre tutto ciò che mi distoglie e ostacola la vista. E così a volte mi dimentico di cercarlo e di guardarlo. 
Ma l'arcobaleno sta lì a ricordarmi che la pioggia, il mal tempo e le sue devastazioni non hanno l'ultima parola sulla vita. 
Sta lì a ricordarmi che la pioggia serve anche  a pulire il cielo. 
Questo delicato arco colorato mi conferma la bellezza, la delicatezza e l'amore della natura e di chi l'ha creata.

Mi conferma che il mal tempo non ha l'ultima parola sulla vita e che è solo preludio e annunciatore di un nuovo arcobaleno.

“Questo è il segno dell'alleanza che io pongo tra me e voi 
e ogni essere vivente che è con voi, 
per tutte le generazioni future. 
Pongo il mio arco sulle nubi, 
perché sia il segno dell'alleanza tra me e la terra” Gn 9,8-15

domenica 21 gennaio 2018

Il meglio deve ancora venire

Chi vive nella nostalgia del passato e di quello che è già stato o, peggio, nel rimpianto di quanto non realizzato o vissuto si condanna alla propria infelicità.
Mi piace pensare che la canzone più bella di tutte non è stata ancora suonata, il libro più bello non è stato ancora scritto, la frase più bella non è stata ancora pronunciata, il profumo più inebriante e il piatto più buono ancora sono in preparazione, il giocatore più forte di tutti sta ancora crescendo in qualche scuola calcio. L'innovazione più rivoluzionaria ci sorprenderà in futuro.
il prossimo spettacolo potrebbe essere più bello dell'ultimo che ho visto e il mio film preferito potrà essere sostituito da uno ancora più bello che devo ancora vedere.
Mi piace pensare che la strategia educativa più efficace, la cura più indicata, sono ancora da scoprire e sperimentare.
Mi piace pensare che anche se sono affezionato alla mia vita e alle cose che faccio le cose più belle non le ho ancora realizzate.
La prossima esperienza, il prossimo incontro mi porteranno forse qualcosa di ancora più bello.
La giornata di oggi o di domani potranno forse regalarmi una gioia profonda mai provata.
Mi piace pensare che posso essere in futuro migliore di come sono.
Mi piace pensare che il futuro, oltre a momenti difficili e critici, potrà farmi scoprire delle novità inaspettate,  e che magari ci saranno periodi migliori di questi e di quelli vissuti in passato dall'umanità.
Sono innamorato di mia moglie ma molto di più oggi di quando eravamo fidanzati o sposini ancora inesperti della vita. Ma mi piace pensare che il nostro amore in futuro sarà ancora più bello, più intenso, più maturo.
L'incontro più intimo con il Signore della Vita, un piccolo bagliore sulla Verità sull'uomo e su di me sono ancora strade inesplorate da cercare e scoprire.
Oggi potrebbe essere il giorno giusto!
Non è inguaribile ottimismo. E' Speranza.
E' voglia di vivere al meglio il presente e di guardare al futuro con fiducia per evitare di essere di quelli che "una volta era meglio..." e vivono oggi tristi e senza capacità di apprezzare e cogliere le novità che ogni giorno porta con sé.



lunedì 1 gennaio 2018

oh vita!

Il primo giorno dell’anno, bilanci e speranze.
Si rischia di essere retorici e ripetitivi: cosa ci dovrà poi essere di nuovo rispetto a quanto sognato e desiderato e sperato il primo gennaio dell’oramai passato 2017?
Eppure mi spinge avanti la consapevolezza che ogni anno porta con sé qualcosa di nuovo nel bene e nel male. 
Nasconde il mistero di giorni ancora da vivere, descrivere, immaginare. 
Giorni completamente nuovi e perciò misteriosamente capaci di trasformare l’esistenza.
Il rischio di un anno che ricomincia nuovo solo nel nome ma già vecchio - certo - è dietro l'angolo. 
Se non mi ci metto di impegno a rinnovarmi e a guardare con intensità ogni persona e ogni giornata che mi si para davanti,  con la voglia di decidere con quale atteggiamento leggere tutte le situazioni della vita e che mi interrogano in modo sempre nuovo.
Ma se guardo all’anno appena passato mi rendo conto che contiene momenti veramente unici. 
Li tengo per me ma so che posso solo prenderli tutti così come sono. 
Non posso scegliere solo i migliori e lasciare il resto, gli errori soprattutto, le incomprensioni, le giornate senza amore. 
E' la vita che è così: la devi prendere tutta intera.
Ora quest’anno è tutta una possibilità, quella  di vivere al meglio. 
Vorrei crescere nella capacità di accompagnamento ma anche di lasciarmi accompagnare. 
Crescere nel guardare ognuno personalmente evitando i copia/incolla...
Lasciarmi qualche momento con gli amici evitando di parlare di lavoro e di cose da fare anche quando ci si incontra solo per stare insieme. 
Leggere per nutrire il cuore e la mente. 
Lasciarmi spazi di interiorità per andare in profondità e crescere nella relazione con Colui che mi ama più di chiunque altro così come sono. 
Infine come apro ogni giornata con le letture del giorno e una frase chi mi guidi per tutta la giornata, voglio chiudere ogni giorno a partire da oggi con un pensiero in cui fare memoria della cosa più bella ricevuta dalla giornata appena trascorsa.

Ciao 2017 grazie per la vita vissuta fino in fondo e fino all’ultimo respiro.


Benvenuto 2018, 365 giorni di vita da riempire al meglio e da contemplare così come saranno: con passione, entusiasmo, stupore... e l'unico modo per non rimanere deluso è ricordarmi che alla fine l'unica cosa che conta è mettere amore nelle vicende quotidiane per trasformarle in momenti unici.
oh vita!
come possono non celebrarti vita?