venerdì 30 dicembre 2016

fedeli nei cambiamenti...


Riflettevo questi giorni su come noi siamo soggetti a continui cambiamenti dentro e fuori di noi. Anche le persone con le quali condividiamo la vita cambiano continuamente: cambiamenti di umore, di stato mentale, di salute, di prospettive.
Cambia anche sempre più velocemente il contesto esterno, le innovazioni sono all'ordine del giorno e, inoltre,  siamo soggetti ad imprevisti di ogni genere.
Cambia nel tempo il nostro aspetto e il nostro modo di pensare, cambiano i nostri bisogni e i nostri desideri.  Conosciamo realtà nuove, persone nuove e persino le abitudini, a volte, cambiano.
Mi chiedo allora come vivere al meglio questi cambiamenti senza perdere di vista la propria specificità e identità?
Mi sembra di poter dire che in  tutto questo mutare la sfida è rimanere fedeli a se stessi e agli altri. 
Giorno per giorno rinnovare la fedeltà al compito che la vita ci mette davanti.
Sembra una cosa assurda a pensarci, ma solo rimanendo fedeli a se stessi, alla propria missione, al proprio sogno e alle persone che condividono profondamente questo cammino possiamo permetterci di cambiare, di attraversare diverse fasi e, tra inevitabili alti e bassi, andare avanti continuando a crescere.
In alternativa i cambiamenti nostri, quelli degli altri e dell'ambiente ci porterebbero ad una volubilità intollerabile, ad un girare a vuoto senza senso inseguendo un vento che cambia sempre direzione. Saremmo delle banderuole senza identità!
Insomma la nostra vita anche se apparentemente sembrerebbe più facile (ci alziamo la mattina e agiamo come ci sentiamo...) credo che sostanzialmente sarebbe priva di direzione e di senso..
Perciò mentre mi rendo conto che su alcune cose sono cambiato, mentre vedo cambiate alcune persone attorno a me  voglio rimanere fedele a me e a loro... alla vita, ai compiti e alle responsabilità... e in questa fedeltà sperimentarmi libero di essere me  stesso nei cambiamenti...
 






domenica 27 novembre 2016

C'è minestrone e minestrone...

Mentre cerco di imparare a vivere e cerco di osservare la realtà che ci circonda mi imbatto in tanti interrogativi...
Dove ci sta portando gradualmente questa globalizzazione? 
Qual è il destino finale dell’umanità di cui ciascuno di noi è una piccola parte? 
Saremo mai un’unica grande comunità umana finalmente unita?

Pensando a questi interrogativi mi viene in mente il minestrone
Quanto più è fatto con tante verdure diverse tanto più è saporito. 
A volte però per renderlo più piacevole ai bambini e a chi non piacciono tutti questi sapori diversi viene passato e frullato. In questo modo ogni cucchiaiata ha lo stesso sapore, non si riconoscono più le verdure di provenienza, magari è anche buono,  ma a me piace invece mangiarlo a pezzi: con gli occhi e con il palato si possono riconoscere i  singoli ingredienti e ogni cucchiaiata è diversa a seconda di come sono combinati. Nessuna verdura ha perso la sua precisa identità ma ciascuna è arricchita dalle altre. In un  boccone si esalta il sapore di una e in un altro ecco venire fuori il sapore, l’odore e il colore di un’altra o altre mischiate insieme sempre in nuove combinazioni mentre il sale, (questo si, non si vede) nella giusta dose esalta il sapore di ciascuna e dell'insieme.

Ecco mi piace pensare che la globalizzazione, la mescolanza di persone e culture,  potrebbe portarci a sperimentare una umanità dove le singole persone e tradizioni e lingue  si mescolano rimanendo se stesse e non mi piace pensare invece ad un passato di verdure dove si perde la specificità e la bellezza del singolo. 

D’altra parte mi sembra che anche la promessa di “cieli nuovi e terra nuova”, il futuro che attende l’umanità tutta insieme e la Comunità ideale sia non un tutto nel quale saremo semplici particelle anonime ma un Paradiso in cui ognuno sarà con la sua persona parte di qualcosa di più grande e meravigliosamente buono… 
Bé  ovviamente il futuro dell'umanità rimane  un mistero non solo per un apprendista... ma a me piace sognarlo così!

giovedì 3 novembre 2016

La staffetta della vita

Questi giorni il pensiero va a chi non c'è più, chi ci ha preceduto. Penso ai miei genitori e a tante persone che sono state significative per la mia vita.
Mi viene di pensare la vita stessa come una staffetta dove si prende il testimone da un altro che sta terminando la corsa, per un po' si procede insieme e poi di slancio tocca solo a te procedere dando il massimo per arrivare poi a tua volta a passare il testimone ad un altro.
Di passaggio in passaggio da una generazione all'altra. Non conta arrivare primi ma dare tutto quello che abbiamo dentro nel nostro tratto di strada, corto o lungo che sia, in salita o in discesa che sia, con la pioggia o con il sole.
Correre con uno sguardo di gratitudine verso chi non si è sottratto prima di noi alla sua corsa e con un'attenzione particolare verso chi dovrà procedere dopo di noi cercando di metterlo nelle migliori condizioni per poi lasciarlo correre a sua volta.
Che bello pensare la storia in questo modo, nessuna esistenza è stata vana e ciascuno ha permesso a chi è venuto dopo di poter continuare la corsa. Un cammino non sempre in avanti e non sempre facile ma mai inutile. Una staffetta appunto... e con la consapevolezza che non è importante vincere ma il percorso:  "E alla meta arriviamo cantando o non arriva nessuno (Modena City Ramblers - viva la vida).


giovedì 20 ottobre 2016

"Da come guardi il mondo tutto dipende..."

.. diceva una canzone...
Ma da che cosa dipende come guardo il mondo? 
Forse da quali occhiali indosso? 
Dalla trasparenza della lente? 
Dalle condizioni dell'occhio'
O magari da quegli invisibili collegamenti tra il nervo ottico, la corteccia e tutte le aree del nostro cervello attraverso le quali quello che "vediamo"viene inevitabilmente filtrato?
In questi giorni stiamo parlando di sguardo educativo... di sguardo che ama e che arriva al cuore dell'altro. Ma più rifletto e mi confronto e più mi rendo conto che ciò mi fa guardare le persone in un modo o in un altro dipende dal mio mondo interiore. Da quello che sento nel mio cuore. 
Non dipende dall'esterno, non si può semplicemente apprendere ad avere uno sguardo educativo. 
Si può però purificare il proprio sguardo: si possono scegliere gli occhiali adatti, pulire bene le lenti, si può lavorare sul rendere consapevoli i "collegamenti" tra quanto arriva all'occhio e quanto il cervello "decodifica". 
Insomma si può lavorare sul proprio sguardo per evitare di vedere solo il negativo nell'altro, per evitare di mettere in evidenza ciò che non va, per non incasellare gli altri in categorie. 
Ci si può esercitare a vedere nell'altro quel bello che c'è e che magari neanche lui riesce a vedere. 
Sì perchè quando si guarda così, l'altro si sente compreso e amato.

Penso che più scendo in profondità con umiltà e intenzionalità, più contemplo e più lo sguardo diviene strumento di amore.
Poesia?
Non credo, Penso a come hanno fatto e fanno ancora  la differenza su di me e sulla mia vita certi sguardi ricevuti... 
Penso che nulla più dello sguardo rivela il cuore e allora... 

domenica 9 ottobre 2016

l'entusiasmo che fa la differenza

In questo periodo di inizio anno si fanno tante proposte, c'è tanta voglia di fare bene.
Però stando tra le persone mi colpisce soprattutto chi contagia gli altri con il proprio entusiasmo.
Ma poi cosa è di fatto l'entusiasmo?
Si può definire in vari modi, ma non mi interessa questo. Nel mio percorso di apprendista mi interessa invece capire come e perché alcune persone riescono a trasmettere questo sentimento agli altri anche nelle avversità e nei momenti difficili.
E' una spinta interiore, ma da dove viene?
Mi ricordo che anni fa in un incontro di formazione si parlava di come motivare i ragazzi e le persone che si sentono "scariche" e hanno una bassa stima di sé. Si è parlato di entusiasmo e nei miei appunti ho scritto Entusiasmo con la E maiuscola perché mi ha colpito l'etimologia della parola: en (in) Theos (Dio): avere Dio dentro di sé.
Ecco perché fa la differenza e perché non dipende dall'avere successo o insuccesso...
Ecco perché anche in questo continuo ad essere un apprendista e dovrò camminare ancora parecchio...

domenica 18 settembre 2016

Quel dolore dentro di noi

Vittorino Andreoli Ha scritto:
Uno psichiatra che meriti questo nome è un uomo che soffre, se conoscete uno psichiatra che non soffre evitatelo totalmente, perché non è possibile capire il dolore senza essere parte del dolore degli altri”. I linguaggi del dolore sono le lacrime, il grido, il silenzio... tre elementi che mancano nel nostro tempo, di cui ci vergogniamo e che lo stesso Cristo nel Vangelo ha utilizzato".

“Ci sono due modalità diverse di affrontare il dolore: il dolore con la speranza e il dolore senza speranza... la speranza è una terapia del dolore... c'è una sola risposta, ed è quella della condivisione, quella di dire: io sono con te per soffrire, sono qui per condividere il tuo dolore; è inutile predicare che cos'è la gioia a uno che vede solo dolore. Bisogna dare un senso al dolore e ha senso se io lo condivido con te, perchè io stesso divento dolore.”

“Noi abbiamo dei recettori verso il mistero, verso qualcosa che ci sfugge... quel qualcosa che attrae e nello stesso tempo spaventa, questo è il mistero. Il mistero è qualcosa che si intuisce ma non si chiarisce sufficientemente. Ecco, c'è questa prima tappa del credere e qui c'è la speranza, la speranza nell'uomo. Guardate che l'uomo può fare molto per l'altro uomo.”

Vittorino Andreoli ha detto che non si può essere un buono psichiatra senza sentire il dolore dell'altro. Io credo che non si può nemmeno essere un buon educatore, un buon psicologo, un buon salesiano, un essere umano veramente tale, senza sentire cosa provano i ragazzi e le persone con cui entriamo in relazione. Sentire il dolore dell'altro e la rabbia dell'altro, una rabbia spesso inespressa o esplosiva. Una rabbia che a volte diventa imprecazione e/o preghiera: "Perchè Signore? Non è giusto! Non è possibile che a questo ragazzo, a questa famiglia debba capitare tutto ciò!".  Spesso è un grido strozzato in gola che rimane senza risposta...

Poi Andreoli, che si dichiara ateo continua: 
“Questo è il punto fondamentale: date speranza, voi che invidiabilmente siete stati visitati a casa vostra dal Padre eterno, date la speranza. E questa speranza datela prima come uomini, poi capiranno che siete anche cristiani”. 
E capisco che spesso quel prendermela con Dio è l'inizio, necessario, di un dialogo nel quale prende corpo la consapevolezza che Lui continua ad amarci così come siamo e che conosce il patire perché ne ha fatto esperienza diretta piangendo, gridando e, infine tacendo, proprio come noi.

Alzo lo sguardo, sopra il PC sulla bacheca di sughero, da tanti anni ho un immaginetta ormai sbiadita
ma che non cambio mai: "Quando la tua speranza è finita, confida in Dio e avrai una speranza senza fine." 

Non ho la risposta al dolore delle persone che incontro e in particolare ancora non sopporto quello dei ragazzi nonostante tanti anni con loro. Però ho capito che posso stare, senza scappare, nella relazione con chi è nel dolore e con chi è nella gioia, per camminare insieme... a volte è poco, a volte ci si accontenta, a volte è sufficiente... camminare insieme... magari in silenzio...

sabato 3 settembre 2016

Quel "lupo della steppa" dentro di me

Nel mio percorso di apprendista uomo i libri e, tra  questi, i classici, a volte mi aiutano a riflettere e a confrontare le mie esperienze con quelle di personaggi creati ad arte per esprimere delle situazioni tipiche. Mi piace confrontarmi con loro per capire cosa mi corrisponde e perché.
Così questa estate ho ripreso anche un libro  letto a venti anni e poi rimasto in libreria. Un classico di Hesse di cui in quel periodo della mia vita credo di aver letto quasi tutto.
 
Il lupo nella steppa: un libro  che parla di un uomo a ridosso dei suoi cinquant'anni (io quest'anno appunto ne ho compiuti 48....). Un uomo in crisi nel tentativo di leggere il suo tempo con la modernità che incalza e che a volte è poco comprensibile o sembra superflua. Che tenta di  starci dentro con fallimenti e successi e nello stesso tempo deve cercare dentro di sé la voglia di vivere e progettare ancora facendo sintesi tra tanti aspetti diversi della propria molteplice personalità.
Uomo-lupo, spirito-corpo, ragione-istinto. Dualismi che si ripetono senza tempo nella vita di ciascuno alla disperata (ma non senza speranza!) ricerca di una sintesi.
Come non rispecchiarsi in alcune sue riflessioni, capace  di toccare  il cielo con un dito e poi di sprofondare sotto terra?

Su tutto emerge la capacità di ridere di sé stessi, l'umorismo, come strada per accettarsi senza distruggersi e senza cadere in sterili sensi di colpa ogni volta che si ricade nei propri limiti.
 
“Soltanto l'umorismo (la trovata forse più singolare e più geniale dell'umanità) compie l'impossibile, illumina e vince tutte le zone della natura umana alle irradiazioni dei suoi prismi. Vivere nel mondo come non fosse il mondo, rispettare la legge e stare tuttavia al di sopra della legge, possedere come se non si possedesse, rinunciare come se non fosse rinuncia: tutte queste esigenze d'un alta saggezza di vita si possono realizzare unicamente con l'umorismo”.

“tutta la vita è così, caro mio, e bisogna prenderla com'è; e chi non è asino ci ride. La gente come lei non ha diritto di criticare la radio o la vita. Impari prima ad ascoltare! Impari a predere sul serio quel che merita di essere preso sul serio, e a ridere del rimanente!... dovrà dunque abituarsi ad ascoltare ancora la radio della vita. Le farà bene.... Lei deve imparare a ridere, questo è richiesto. Deve comprendere l'umorismo della vita.”

 Mi sembra importante comprendere che mentre cerco di camminare e di migliorarmi posso migliorare anche la capacità di ridere di me stesso  e di alcune situazioni che si ripetono senza tempo, senza indugiare troppo ma anche senza drammatizzare troppo...

E' bello vedere che emerge nell'uomo, nel suo intimo più profondo una continua domanda di senso  e di ricerca del senso ultimo della vita.
“Chi leggeva al di sopra del Reno la scrittura delle nubi e delle nebbie migranti? Il lupo della steppa. E chi cercava al di sopra delle macerie della vita il senso svavillante, soffriva le cose apparentemente insensate, viveva le apparenti pazzie e, nel caos sconvolto, sperava segretamente la rivelazione e la vicinanza di Dio?”

“l'uomo non è una forma fissa e permanente (questo fu nonostante le intuizioni contrarie dei suoi sapienti, ideali dell'antichità), ma è invece un tentativo, una transizione, un ponte stretto e pericoloso fra la natura e lo spirito. Verso lo spirito, verso Dio lo spinge il suo intimo destino; a ritroso, verso la Natura, verso la Madre lo trae la sua intima nostalgia: tra l'una e l'altra di queste forze oscilla la sua vita angosciata e tremante”.
 
“Ma di quel postulato suopremo che impone di aspirare a diventare uomo secondo lo spirito, di percorrere l'unica stretta via dell'immortalità, egli ha paura in fondo all'anima.... e non vuol rendersi conto che quel disperato attaccamento all'io, quel disperato rifiuto di morire è la via più sicura per arrivare alla morte eterna, mentre il saper morire, il saper spogliarsi e abbandonare l'io alle metamorfosi conduce all'immortalità”.

Riprendo il cammino sempre più convinto di dover morire a me  stesso per continuare a vivere e consapevole della  necessità (e del piacere) di dialogare con il "lupo della steppa" dentro di me, solitario e istintivo, a volte scorbutico, ma anche parte di  ciò che sono... devo  stare attento a non assecondarlo troppo ma, certe volte, devo ascoltarlo di più. L'istinto a volte aiuta a cogliere  aspetti della realtà che sfuggono

al ragionamento.
E poi... un po' lupetto lo sarò sempre... chissà perché...


 

lunedì 22 agosto 2016

"Ho scoperto perché Dio sta zitto"

Prima di partire per le vacanze faccio il pieno di libri cercando di differenziare  i diversi generi e poi li  seleziono per evitare di esagerare con i bagagli. La voglia è quella di rilassarmi con qualcosa di leggero ma appassionante e nello stesso tempo di avere qualche stimolo di riflessione che mi possa aiutare a crescere e che mi stimoli per l'anno successivo. 
Di solito attingo alla libreria di casa, ai libri comprati o  ricevuti in dono durante l'anno e a qualche classico.

Tra i libri letti questa estate, ho ripreso e riletto un libro trovato a casa di papà. Anni fa lo avevo comprato, letto e poi una sera che era venuto a trovarmi lo aveva visto sulla scrivania, si era incuriosito  e me lo ha chiesto. Nel frattempo lo avevo semplicemente dimenticato.
In prima pagina, dove di solito io firmo il libro e ci metto la data in cui inizio la lettura, c'era la sua firma con scritto “ESCLUSIVO”, dentro le sue e le mie sottolineature... per me già questa dicitura lasciatami in eredità da papà era sufficiente per riprenderlo in mano. Poi anche il titolo e l'autore erano convincenti per portarlo con me vincendo la concorrenza di altri volumi in attesa:  “Ho scoperto perchè Dio sta zitto” di don Oreste Benzi. In più la prefazione e un appendice di Vittorino Andreoli. 
Alla fine non ho scoperto perché Dio sta zitto ma sicuramente posso dire che mi ha parlato attraverso questo libro e le parole di questo santo dei nostri giorni.
Sopratutto mi ha mostrato il volto bello di chi conosce la realtà della sofferenza e ne parla con profondo rispetto sapendo che  la condivisione, la coerenza personale, la relazione con Dio e con gli uomini non sono valori astratti ma fonte di felicità personale e di gioia profonda anche nelle situazioni inspiegabili e, apparentemente, senza senso. Mi ha incoraggiato ad affidarmi di più e a proseguire il cammino di apprendista uomo che passa anche attraverso la scoperta della presenza di Dio nel quotidiano e nel riconoscerlo negli altri e nel mondo circostante sapendo distinguere il bene e il male. 
Mi sono appuntato alcuni spunti tratti dal libro... 

Anche nella Chiesa cattolica sono molti quelli che riducono la fede ad un fatto privato, che in pratica hanno escluso Dio come base fondamentale della comunità umana. Non manifestano mai la loro fede e, pur essendo credenti, in pratica sono atei che sanno molte cose su Dio. Hanno rovinato il cuore dell'umanità, che senza Dio è una massa di prepotenti che trasformano i più deboli in strumenti della loro sete di onnipotenza.”

“Altro è percorrere la stessa strada, altro è camminare insieme. Per andare sulla stessa strada basta avere le gambe buone, per camminare insieme è necessario amarsi l'un l'altro”.

Vuoi davvero incontrare Dio? 
...diventa accogliente, prendi l'altro com'è perché diventi come deve essere. 
Allora ti porrai sempre in ascolto dell'altro... se l'altro continuerà ad essere puzzolente, 

tu stai vicino a lui profumandoti, così farai cadere la sua puzza su di te, pagando di persona la sua liberazione. Se l'altro continua  a sfruttarti, sta vicino a lui continuando a servirlo, pagherai di persona la sua cattiveria, lo libererai, e l'altro incontrerà la vita. 
Espiando, pagherai di persona il male degli altri, ma gli altri incontreranno in te il Dio della vita perché vedranno te che cammini con il Dio della vita”. 

“Mettiti dalla parte della giustizia, non coltivare i poveri per fare opere di misericordia.

le capacità umane vengono ritenute titolo di merito mentre devono essere titolo di servizio”

“il lusso è sempre un furto”

“il mio e il tuo sono una bugia. Qual'è la ragione che fa diventare mio e tuo qualcosa? … solo se si passa dall'io e tu, l noi, e dal mio e tuo, al  nostro, si ripulisce il volto di Dio imbrattato dall'io e dal mio di poche che si professano credenti in lui”.



l'uomo che vive nella certezza di Dio è il più impegnato nelle realtà terrene perché non è più condizionato dal successo o dall'insuccesso, dal possesso o dalla privazione, dal bisogno di affermazione o dalla paura di non contare nulla: egli vive per l'Assoluto e quindi per la pienezza. Le difficoltà diventano opportunità e dono per staccarsi da ciò che non conta e unirsi a Colui che conta. La gioia è il sintomo della permanenza in Lui”


Per la parte di Andreoli sul mistero del dolore, la prossima volta...

P.S. Grazie papà! Quanti libri ho preso sul tuo tavolo o sulla tua libreria che mi hanno cambiato la vita... ora addirittura uno che avevi preso tu a me...



domenica 24 luglio 2016

Su può dare di più... ma con gioia però... se no non ne vale la pena!

Spesso osservo intorno a me e vedo  tante persone volenterose, che si spendono per gli altri, che danno il massimo, a volte tutto. Non sono tutte uguali però nel donare. Mi sembra di poter distinguere con chiarezza chi dona, dà tanto senza chiedersi se altri fanno altrettanto. Danno, seminano intorno a loro amore e disponibilità, anche quando costa fatica, perché hanno compreso che così facendo la vita acquista un senso di pienezza oppure semplicemente perché possono farlo e sentono che quindi è giusto farlo.
Ci sono altri invece che danno tanto, possono farlo e sanno di poterlo fare, ma si guardano continuamente indietro per vedere se altri fanno altrettanto. E si lamentano e recriminano perché inevitabilmente trovano sempre qualcuno che non si impegna come loro, che non si dona come loro. Così facendo non si gustano la gioia del dono ma anzi si sentono vittime di una ingiustizia e quasi quasi invidiano chi dà di meno o comunque vorrebbero che anche gli altri si impegnassero tanto quanto si impegnano loro. Così stanno lì a misurare  e la fatica la sentono persino di più.
Insomma entrambe le categorie di "donatori" sono ammirevoli per quanto fanno.
Ma solo i primi sono contenti e vivono  magari un pò stanchi,  ma anche soddisfatti e sereni e perciò pronti a ricominciare ogni giorno.
Gli altri invece, vivono male il loro donarsi e a causa delle loro recriminazioni si perdono la parte migliore del dono che ha un valore in sé inestimabile.
Come apprendista voglio esercitarmi nel dare  quello che posso senza misurarmi su quanto danno o fanno gli altri ma solo su quanto posso fare o dare io di più o di meglio in base ai doni che ho ricevuto a mia volta dalla vita. Voglio fare in questo modo perché so che questa è la strada della felicità... non perché la felicità  si possa raggiungere in modo diretto e completo ma perché osservo che diviene una normale conseguenza del donare con gioia.

"Se  non io chi?
Se  non ora quando?
Se lo faccio solo per me stesso chi sono io?
(Rabbi Hillel)

domenica 10 luglio 2016

Alla fine cosa resta veramente?

A fine anno, prima delle attese vacanze estive, si tirano le somme di come sono andate le cose, di quanto è stato fatto o non fatto, dei risultati raggiunti. Ci si rende conto di obiettivi trascurati, persone perse di vista, propositi di inizio anno mancati. Ma alla fine dei conti cosa resta veramente? cosa conta?
Veramente sono i risultati l'unico criterio? Certo è importante verificare se "i conti tornano" . Ma mi sto sempre più rendendo conto che quello che conta è proprio il cammino fatto giorno per giorno. Gli incontri con le persone sopratutto. Le emozioni che questi incontri mi hanno trasmesso nella loro drammaticità o nella loro stupefacente bellezza.
Ciò che conta è seminare con costanza e curare il seme, senza preoccuparsi troppo del raccolto che a volte è abbondante e a volte meno.
Ma tutta la vita che c'è in mezzo tra la programmazione e la verifica è ciò che conta e ciò che resta.
E posso contemplare le meraviglie che ogni giornata ha portato con sé durante quest'anno e tirare il fiato per riprendere con ancora più entusiasmo e forza il cammino e la semina.
E' proprio vero che si può vincere o si può perdere ma ciò che conta è giocare la partita e dare tutto senza preoccuparsi se altri fanno lo stesso, perché è cosi che si coglie  il senso del proprio andare...
Camminando s'apre il cammino e ogni anno e ogni stagione si ripete solo apparentemente in modo ciclico e uguale... la novità irrompe sempre e rende ogni anno unico.
Grazie a tutti i compagni di questo cammino, compagni occasionali, provvisori o fratelli di vita... perchè "Alla meta ci sia arriva cantando o non ci arriva nessuno" (MCR)

Mentre ripenso a queste cose mi viene in mente un articolo che ho scritto per il nostro giornalino Centr'Avanti alla fine di un altro anno convulso in cui ci sembrava di non avere prospettive per il futuro 5 anni fa e sono andato a ricercalo sulla mia pen-drive:

"COME SI FANNO I BILANCI? SIAMO IN PERDITA VERAMENTE?
Anche quest’anno sociale volge al termine ed è già tempo di bilanci… Ma con quale criterio va fatto un bilancio? Oggi il criterio dominante in modo quasi esclusivo  è quello economico… entrate e uscite…  o quello quantitativo… quanti ragazzi sono venuti, quanti volontari, quante licenze medie e quanti attestati…
Questa logica va bene per un centro commerciale, per  un azienda ma è molto pericolosa quando diventa anche il criterio principale in educazione e nell’intervento con le persone…
Molti si rivolgono a noi affascinati dalla prassi educativa e tanti ci chiedono aiuto perché accogliamo tutti quei ragazzi che altre agenzie formative  allontanano con motivazioni più o meno valide… ma comunque allontanano… molti si rivolgono a noi anche per dare una mano…
Ma incredibilmente ai rappresentanti delle istituzioni, nel pubblico, nel privato e anche  tra i religiosi… interessa sapere solo quanto costa… “quante entrate avete?…” ,“ come vi sostenete?”….
Da una parte è comprensibile:  ogni famiglia, comunità, Stato,  deve poter essere sostenibile… ma è chiaro che questo può avvenire in modo diverso e che inevitabilmente alcuni intereventi di prevenzione, sostegno e recupero sono economicamente a perdere… ma sono anche un investimento per evitare perdite maggiori in futuro… (recuperare una persona in carcere o in comunità per tossicodipendenti costa almeno 15-20 volte di più… per non parlare dei costi sociali, umani della persona coinvolta e di tutte quelle che lo circondano…)
Pensare alla scuola, alla sanità e all’educazione con gli stessi criteri delle aziende è aberrante… certo la “scusa” pronta che ognuno utilizza è: “c’è la crisi…” ma noi crediamo che proprio in tempo di crisi occorre scegliere meglio come investire le risorse che ci sono…
Ora se il criterio per fare del bilancio di quest’anno è quello economico avrete intuito che siamo in perdita… abbiamo accumulato solo debiti… ma se adottiamo il criterio della qualità delle relazioni tra ragazzi e operatori, il senso di comunità e di corresponsabilità, la crescita in umanità, competenze e autostima allora ci sentiamo molto ricchi… abbiamo ricevuto tantissimo e messo in circolo tutto quello che avevamo e alla fine… pur stanchi… ci ritroviamo pieni di voglia di ricominciare! ....
Invece di chiederci solo quanto costa   ci chiediamo anche quanto vale… quanto vale un ragazzo recuperato? Quanto vale un ragazzo che ha deciso di riprendere la scuola? E un ragazzo che ha deciso di uscire dalla devianza e di andare a lavorare?  E uno  che ha riscoperto di avere delle competenze, che ha ripreso a credere in se stesso, che si è sentito accolto? Quanto vale?"

venerdì 3 giugno 2016

il sapore dell'amore compiuto

Questo è il titolo di un libro  interessante scritto da Antonio  Thellung uno scrittore al quale sono particolarmente affezionato. Ma soprattutto è la constatazione di quanto osservato durante la festa per il cinquantesimo di matrimonio dei miei zii.
L'amore non si esaurisce come le batterie. Casomai si trasforma, proprio come ogni forma di energia. Addirittura cresce con il tempo autorigenerandosi nella donazione di sé  e nella reciprocità dei rapporti.
Non è teoria: è una esperienza concreta, non si può misurare con un indicatore preciso, ma è talmente evidente che non necessita di dimostrazioni scientifiche.
L'amore non è solo passione travolgente, anche se la passione ne è un ingrediente fondamentale.
L'amore  cresce andando  in profondità come un albero che più sale verso l'alto più scende con le sue radici nella profondità della terra. L'amore  rende possibile camminare insieme per tutta la vita crescendo e contagiando tutti coloro che entrano in contatto con coloro che  si amano.
Certo occorre fiducia non solo nell'altro, ma anche nell'amore stesso che può aiutare a superare le difficoltà che si presentano lungo il cammino, le fragilità degli amanti, le incomprensioni e le chiusure. Se ciascuno ama se stesso, l'altro e l'Amore e scommette tutto senza farsi vincere dalle paure e dalle esitazioni allora tutto diventa possibile.
Il sapore dell'amore compiuto è presente negli sguardi dei miei zii che celebrano i loro cinquanta anni di matrimonio e in quello delle persone piccole e grandi che sono lì a contemplare e a  gioire con loro perché l'amore vero non suscita  invidia ma anzi contagia e ricarica anche chi vi si trova a contatto.
E' compiuto non perché finito e arrivato al capolinea ma perché pieno e completo.

Non è vero che l'amore è bello finché dura! L'amore  è bello perché dura per sempre ed è una base sicura sulla quale costruire la vita. L'Amore è il motore  che ti dà la forza di andare avanti e nello stesso tempo è il fine ultimo di una relazione e anche il modo in cui la relazione si alimenta.
Sembrano solo parole ma quando  le vedi realizzate e incarnate in qualcuno sono più vere di qualsiasi altra realtà.
E quando l'amore diventa ferita, cicatrice, tradimento, lutto... anche in queste situazioni niente e nessuno può cancellare quello che è stato e l'amore donato... proprio in queste situazioni non perdiamo la speranza guardando a chi ha la forza di andare avanti scommettendo ancora e ancora sull'Amore...
Certo che nell'Amore e nell'amare resterò sempre solo un apprendista... una vita basta appena, se va bene, a finire il periodo dell'apprendistato...

sabato 21 maggio 2016

un appuntamento con me stesso


Qualche giorno fa parlavo con una persona che mi diceva: "Sei sempre molto impegnato, tanti appuntamenti durante la giornata, mi raccomando non dimenticare di darti un appuntamento con te stesso, perché senza appuntamento rimanderai l'incontro giorno dopo giorno".
Appena si è allontanato non ho potuto non dargli ragione! Preso da tante cose non sto mai da solo, anche a casa c'è sempre qualcuno, e se non sono con qualcuno fisicamente ci pensa il cellulare a mettermi subito in contatto e a non lasciarmi solo tra me e me. Basta scegliere tra telefonate, sms, whatapp, fb, telegram, email... oppure ecco il pc o la TV.
Eppure non è solo bello stare da solo con me stesso, è rigenerativo, interessante, creativo... insomma mi trovo bene con me stesso e mi dispiace mancare l'incontro!
Allora ben venga darmi un appuntamento in un momento prestabilito della giornata: via tutte le distrazioni tecnologiche, via per un pò gli altri... via anche le distrazioni mentali sempre in agguato... e inizia un silenzioso dialogo... spesso passeggiando con calma...
Ma se la giornata è fatta di 24 ore, tolta la notte e un pò di relax diciamo restano ancora almeno 14-15 ore... allora ecco qui che non  basta darmi un appuntamento con me stesso... ho bisogno e voglia di incontri particolari e anche questi vanno salvaguardati con un momento dedicato: un appuntamento con Dio... e vale la pena svegliarsi un pò prima per questo, Lui è lì a ribadirmi che mi ama... poi un appuntamento con mia moglie e con i miei figli per ascoltarli o contemplarli o semplicemente giocarci un pò... troppo? Ma no! resta ancora tanto tempo per lavorare... e per le persone da incontrare!
Certo sono un apprendista e nonostante mi frequento da tanti anni, diciamo da sempre... ancora non mi conosco abbastanza e quindi devo vigilare perché è facile trovare una scusa - un urgenza in agguato non manca mai  - oppure: "oggi sono troppo stanco voglio spegnere il cervello".
Certo senza rigidità, in fondo basta poco... e poi a volte si finisce per ragionare di cose senza senso...
Ma voglio proseguire perché a farci caso si distinguono le persone con un buon rapporto con se stesse da chi preferisce il frastuono e le distrazioni per non incontrarsi...
Mi pensate un pò matto?... ma vi assicuro non ho le visioni e non parlo da solo... oppure si?

lunedì 25 aprile 2016

La Paura del Domani

A volte capita che un motivetto ti si fissa in testa e lo  ripeti quasi senza pensarci. Così è capitato a me oggi  con questa vecchia canzone di Eugenio Finardi che a dire il vero non è neanche propriamente una canzone. E' una poesia con dei suoni di fondo che accompagnano il testo.
Quando avevo una ventina di anni ricordo di averla scoperta e di averla trascritta per poi imparare a memoria il testo. Ho proprio fatto come si usa a scuola. Ho ripetuto verso per verso fino ad impararla tutta e ancora oggi la ricordo. Mi ha trasmesso una forza  in tanti momenti della mia vita, mi sembra proprio molto attuale nel cammino di chi cerca di diventare uomo oggi nonostante sia stata scritta a metà degli anni settanta:
La paura del domani è sbagliata e tu lo sai
perché porta alla rinuncia che non serve mai
e non voglio dir con questo che bisogna ignorare
cosa c'è di sbagliato e tirare a campare.
Ma l'ottimismo non è esser ciechi ai problemi della vita
ma cercare senza arrendersi mai una giusta via di uscita.
E' poi dai è tanto comodo essere  cinici e delusi
per non farsi coinvolgere ed agli altri essere chiusi.
Evitar sempre di scegliere se stare di qua o di là
ed uccidere con il sarcasmo ogni responsabilità.
Ma lo so che non è facile darsi da fare
spesso sembra quasi impossibile che qualcosa possa cambiare.
Ma forse se ci si mette in tanti ci si potrà anche riuscire
in fondo che altra scelta c'è bisognerà pure provare.
Perciò esci nelle strade del mondo  ed entra tra la gente
il futuro che ti scegli te lo crei nel presente.
Perciò esci nelle strade del mondo  ed entra tra la gente
il futuro che si sceglie lo si crea nel presente

In effetti oggi tante persone e tanti giovani che incontro hanno paura del futuro. Come dargli torto? La crisi che non sembra terminare, le istituzioni che sembrano incapaci di avere uno sguardo un po' ampio per il bene comune, la corruzione, l'individualismo, il terrorismo, le guerre, gli spostamenti di interi popoli. Sento, parlando con le persone,  che la paura non si può dire giusta o sbagliata, è semplicemente reale e a volte si trasforma in panico.
Ma anche io credo che qualcosa non va se "porta alla rinuncia che non serve mai", che non è facile non "tirare a campare" ma  vivere "cercando senza arrendersi mai una giusta via di uscita" sapendo che non c'è altra  scelta, "bisognerà pure provare".
Non è certo il risultato, non c'è già una soluzione, ma è tracciato un atteggiamento, un modo di camminare andando in una direzione e non girando a vuoto: "esci nelle strade del mondo ed entra tra la gente il futuro che ti scegli te  lo crei nel presente". E' più bello vivere cosi! Anche perché se è comprensibile la paura, non se ne può più di sentire persone che sanno solo lamentarsi e piangersi addosso senza rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco in prima persona.
In effetti a pensarci bene è proprio "comodo essere  cinici e delusi per non farsi coinvolgere ed agli altri essere chiusi" e "uccidere con il sarcasmo ogni responsabilità", dire che non serve a niente impegnarsi e fare qualcosa tanto non cambierà mai nulla...
Oggi, in questo momento storico, con i problemi che ci sono,  possiamo diventare più umani così, aprendoci  e non chiudendoci  a quello che è la  realtà. Consapevoli che nel  modo con cui viviamo, nella  semplicità della vita  quotidiana possiamo già fare qualcosa e poi "se ci si mette in tanti si potrà anche riuscire"... guardando alla storia mi sembra di poter dire che è andata così anche in passato, e a volte si sono visti cambiamenti apparentemente impossibili agli occhi di tanti ma non di tutti...

"Non avere paura del domani 
perchè in fondo oggi è il giorno 
che ti faceva paura ieri" 
(Bob Marley)

sabato 9 aprile 2016

Cosa avrà fatto il Padre Misericordioso finita la festa?

Lavoro in un centro di accoglienza per ragazzi e quindi ho la fortuna e la gioia di poter riaccogliere a braccia aperta tante volte i ragazzi che se ne vanno per la propria strada rifiutando la proposta iniziale. E’ sempre una esperienza molto bella. Accoglierli contenti di rivederli quando tutto faceva pensare che non sarebbero più tornati.
Poi però una volta riaccolto il ragazzo ha bisogno di capire cosa deve e può fare. Non sempre la proposta inziale è ancora valida e possibile da percorrere… il posto in casa famiglia non c’è più, il corso ormai è finito… o pieno...  quella proposta di lavoro è stata presa da  un  altro… certo rispetto alla scuola possiamo  non dover sottostare a regolamenti scritti a tavolino, spersonalizzati  e uguali per tutti come  il numero di presenze, gli orari, le conoscenze e le competenze. Possiamo veramente con creatività confezionare un abito su  misura. Comunque può essere che non sarà l’abito progettato inizialmente anzi spesso è così.

Allora penso al Padre della parabola, finita la festa per il ritorno del figlio tanto atteso. Il giorno dopo, si sarà dovuto mettere a tavolino con questo il figlio e forse anche con l’altro ormai rassegnato, anche se non ancora convinto, della decisione del padre. Avranno dovuto stabilire in che modo il figlio sarebbe  ritornato in casa e  al lavoro, in quale ruolo, con quali risorse e con quale paga visto che parte dell’eredità è stata comunque dilapidata.
Non si dice nulla di questo, si vuole sottolineare solo la bontà del padre capace di riaccogliere, sicuramente più e  più volte. Si perché non credo che il figlio sia diventato improvvisamente  perfetto dopo tutto quello che aveva passato e con tutto quello che si era bevuto… 
Peccato non  ci sia una parabola che ci aiuta a capire il dopo. Dai ragazzi e da tanti “padri-educatori” osservati mi sembra di aver capito  che si può riaccogliere anche più volte senza dimenticare il passato ma anche senza farsi condizionare dal passato. Che le cicatrici rimangono e vanno accettate come limiti inevitabili che rendono comunque il rapporto diverso. Mi piace pensare che diverso significhi una cosa nuova e anche arricchita dalla rielaborazione degli errori commessi.
D’altra parte il padre-educatore non  potrà non continuare a fare i conti con l’altro fratello, quello ligio alle regole,  che continuerà a puntare il dito e a sottolineare ad ogni più piccolo errore limiti ed errori dell'altro: “lo vedi! Non è cambiato per niente! Andate in quel posto lui, tu e la tua bontà! Non dovevi riaccoglierlo!".
Io credo che con santa pazienza il padre avrà continuato ad amare entrambi i figli accettando le rispettive fragilità, accompagnandoli nel percorso della vita senza fargli mancare il proprio sostegno. Troppo buono? Sicuramente più buono di quando ciascuno di noi è capace. Di una bontà che sa accogliere l’uomo e valorizzarlo così come è, comprendendo senza colludere con il male.
Mi piace pensare che a lungo andare questo atteggiamento del padre si sia riversato sui figli e che a loro volta siano diventati a modo loro dei padri misericordiosi. Mi piace pensare che gli stessi figli siano diventati capaci di perdonarsi a vicenda tra loro, se non per convinzione, almeno per amore di questo padre che li voleva uniti.
Mi piace immaginare che dopo la morte del padre il più piccolo abbia detto all’altro: “a me non spetta nulla, ho già avuto la mia parte a suo tempo”. E che l’altro abbia risposto: “non fare  lo scemo, rimaniamo insieme  e  facciamo a metà,  papà avrebbe  voluto così”.

Mi piace pensare che l’amore avrà trionfato anche sulla giustizia oltre che sul rancore.
Forse mi immagino sia andata così perché chi ha raccontato questa storia per primo si è comportato in questo modo e anche perché non posso non osservare guardandomi intorno che non solo l’odio genera odio e la violenza genera violenza, ma anche l’amore porta amore e il perdono suscita il perdono.

Così come capita con i nostri ragazzi: riaccolti di nuovo ricominciano con slancio, poi ricadono, poi ricominciano, poi ricadono di nuovo. Ma se gli diamo ancora un’altra e un’altra possibilità allora ad un certo punto scatta qualcosa dentro di loro (certo mica  in tutti… o meglio non in tutti in poco tempo… ma questa è un’altra storia…), si sentono accettati così come sono e cominciano a cambiare, addirittura a riconoscere che gli si vuole bene, addirittura cominciano a ri-cambiare, e qualche anno dopo più di qualcuno viene a raccontarti non più di come ha dilapidato l’eredità delle risorse messe a disposizione ma di come ha cominciato a costruire una propria storia  e progetto di vita.
Ecco un modello a cui ispirarmi nel mio cammino di apprendistato senza pretendere di divenire proprio così… perché dentro di me c’è sempre anche il figlio ribelle che ogni tanto parte per la tangente… e qualche volta anche quello maggiore che punta il dito...e continuo ad aver bisogno di un Padre…

 

 

domenica 20 marzo 2016

In cammino per divenire un padre sufficientemente buono


La festa del papà diventa un momento per riflettere sul difficile percorso per diventare un buon padre o, almeno, un padre sufficientemente buono. Non è facile e non è scontato. Sono diventato  genitore in modo naturale, come è giusto  che sia, generando… ma essere padre è un’altra cosa. Oggi mi trovo  ad essere padre  di 4 figli più una figlioletta in cielo, e in alcuni momenti una figura paterna per tanti altri ragazzi.
Una responsabilità grande ma anche una grande gioia soprattutto grazie ai gioielli che sono i miei figli… per imparare da buon apprendista ho bisogno di sperimentare, di riflettere e rielaborare l’esperienza e di trarre insegnamento dai miei errori e dai padri che ho vissuto e visto.
Il mio prima di tutto, tutto dedito ai figli e alla famiglia, il Padre Buono rivelato da Gesù capace di amare a qualunque costo e misericordioso prima di essere esigente. Padri naturali e spirituali che ho incontrato lungo il percorso.
Ciò che fa la differenza tra un padre qualsiasi e un buon padre mi sembra sia  l’essere autentici, disponibili, capaci di vivere dei valori in modo da farli vedere incarnati nel quotidiano in modo coerente, l’essere capaci di rispettare la libertà dei figli anche quando le  loro scelte non corrispondono con le proprie e nello stesso tempo pronti a sostenere o rialzare quando occorre. Capaci di offrire delle regole che rispettano per primi, capaci di discutere, amare, dire di no anche quando sarebbe più facile dire di sì…
Insomma non è proprio facile ma capisco che  c'è  bisogno di padri quando mi trovo vicino a ragazzi che non hanno fatto esperienza di un padre presente, affidabile, responsabile. Non ne hanno avuto proprio nessuno oppure, e forse è peggio, il loro era violento, ambiguo  e inaffidabile... 
Quante sofferenze si portano dentro...
Perciò è proprio importante continuare questo cammino senza pensare di essere già arrivato. Costanza e perseveranza sono importanti perché in tanti mollano e si allontanano... 
Essere padre, non fare il padre. Essere e non mettermi la mascherina di... i figli si rendono conto se siamo autentici o se stiamo solo giocando un ruolo... 
Mi piace molto questa canzone anche se ormai un po' datata "padre occhi gialli e stanchi prova ancora con i tuoi proverbi a illuminarmi, madre butta i panni e vieni ancora se ne hai voglia a cocolarmi" (Cremonini - padre/madre).
Forse perché anche io sono fissato con i proverbi e miei figli mi prendono in giro... ma quanto hanno bisogno di regole, valori e quanto di carezze, affetto... a tutte le età... anche se non lo diranno mai (specialmente i miei... maschi...)

domenica 28 febbraio 2016

A.A.A. Cercasi spazi di vita interiore

Mentre cerco di proseguire il mio cammino personale da più parti ricevo l'invito ad andare in profondità dentro me stesso.  Vivere spazi di interiorità a guardami dentro. Andare dentro le stanze della mia vita, entrare in dialogo con me stesso, attingere alle profondità del cuore. Mettermi in silenzio e in ascolto per scoprire la ricchezza che c'è dentro e fuori di me. Tutto molto bello!
Ma di questi tempi mi sto rendendo conto che  è sempre più difficile... occorre chiudere le finestre verso l'esterno, almeno per un pò, altrimenti diventa impossibile concentrarsi. Le finestre sempre aperte che mi impediscono di guardarmi dentro? Il cellulare con tutte le sue APP e Social, il PC, internet, la TV... ci sono sempre una o più finestre aperte che mi distraggono costantemente... rumori di fondo...
Sento che  è importante cercare dentro di me per scoprire sempre meglio il mio cammino personale, per dialogare con me stesso e per ascoltare la presenza di Dio dentro di me fonte di una gioia indicibile. Nello stesso tempo sento che questo ha un senso se non mi chiudo totalmente in me stesso ma se sono aperto agli altri, ai compiti che la vita mi mette di fronte ogni giorno. Come sempre occorre trovare il giusto equilibrio.
Nel telefono che squilla c'è l'altro che mi interpella ma non ogni notifica è degna della stessa attenzione, in alcune si nascondono sirene che portano fuori strada.
In certi momenti occorre chiudere tutto, fare silenzio,  andare in profondità dentro di me, esplorare e interrogarsi. scoprire e riscoprire nelle intimità più profonde la presenza di Dio che mi aspetta per amarmi.
Se non rispondo sempre e subito all'ultimo Wapp o SMS di solito non succede nulla. Magari mi aiuta pensare che l'umanità è andata avanti per millenni senza... ma se sono collegato con tutti e scollegato costantemente da me stesso rischio di perdermi, diventare superficiale e forse a questo punto chissà cosa posso dare o rispondere?
Ogni giorno arriva il momento di chiudere le finestre e il momento di riaprirle!
Devo chiuderle con decisione non solo per stare con me stesso ma anche per essere presente a me stesso mentre sto con un'altra persona. Sempre di più capita di essere in tre o quattro mentre si dialoga: io-tu-cellulare di io e cellulare di tu... praticamente una folla... un colloquio intimo diventa come parlarsi in una piazza piena di gente... ma questo è un altro aspetto sul quale continuare ad apprendere...



domenica 14 febbraio 2016

Etica per erranti: Scegliere l'atteggiamento dell'apprendista

Ogni tanto la domenica vado a spulciare tra i miei vecchi libri, qualcuno mi ispira subito, lo apro, lo sfoglio e mi metto a leggere le parti sottolineate. Alcune pagine hanno una orecchietta che indica  che quella pagina mi è particolarmente piaciuta...
Oggi ho in mano ETICA PER ERRANTI di Ricardo Peter. Cercavo oggi questo libro forse perchè mi voglio rimettere in cammino all'inizio della Quaresima, forse perchè è qualche giorno che rifletto sui miei errori... ecco la pagina che più di tutte mi rimanda al mio percorso di apprendimento e di crescita come uomo:
"L'idea secondo cui per evitare l'errore si dovrebbe temerlo, oltre che sbagliata, addirittura postula quello stesso errore che si vorrebbe evitare... di conseguenza il perfezionista finisce per commettere gli errori che teme di più e che vorrebbe evitare, con il risultato paradossale di rafforzare ancora di più la sua tendenza al perfezionismo. In realtà le cose possono riuscire male a tutti e cercare di evitarle è la causa che queste cose riescano ancora peggio. Quale alternativa c'è al temere l'errore? Cambiare la prospettiva che abbiamo sull'errore. Invece di temerlo, avere la disposizione a vedere dei vantaggi nell'errore commesso. Scegliere l'atteggiamento dell'apprendista. Grazie all'errore posso ampliare l'orizzonte della conoscenza di me stesso e della vita. In questo modo si dà all'errore il posto che merita: quello di provvederci più informazioni e più esperienza".
Invece di pensare alla paura di sbagliare che ci fa sbagliare... pensare ad agire sapendo che se sbagliamo possiamo crescere imparando dagli errori commessi...

E' bello riflettere sul fatto che ERRARE ha un doppio significato... ma in effetti solo chi "cammina" sbaglia ma solo sbagliando e riconoscendo l'errore si "cammina" realmente... e a volte sbagliando strada, si fanno scoperte inaspettate... mentre scrivo alzo gli occhi, sulla scrivania ho una bacheca, dove - forse è lì da quasi trent'anni - c'è un segna-libro ormai ingiallito con una frase che su questo mi ha accompagna da sempre: "RIMARRAI ESITANTE DI FRONTE AD UNA SCELTA PER PAURA DI SBAGLIARE? FELICE COLUI CHE SI TOGLIE LA MANO DAGLI OCCHI E CORRE IL RISCHIO DI AVANZARE SOSTENUTO DALLA SOLA FIDUCIA NELLA FEDE" (Frere Roger)
Bè in effetti così è più facile non farsi prendere dalla paura, non è un salto nel buio ma è mettersi nelle mani di Qualcuno che mi ama e mi guida anche attraverso gli errori... certo che vale la pena correre il rischio di avanzare!

domenica 7 febbraio 2016

Non è colpa mia!

Quando ero ancora uno studente (si lo so secoli fa...) per l'esame di psicologia sociale mi sono imbattuto in un libro dal titolo "L'attribuzione causale", ma il messaggio del libro l'ho colto solo molto dopo, relazionandomi con le persone e soprattutto con i miei maestri, i ragazzi.
Quando qualcosa non va per  il verso giusto a molti  viene spontaneo prendersela con qualcun altro, o  con il destino  ma capita anche che quando le cose vanno bene e  non poche persone attribuiscono il risultato alla fortuna, al caso, alla bravura di altri...
Ricevo invece  sempre una bella lezione di vita, come mi è capitato in questi giorni,  quando sento qualcuno dire: "scusa, ho sbagliato, cercherò di fare meglio". Che significa  mi assumo la responsabilità delle mie azioni e penso che sono in grado di fare diversamente. Sembra una cosa da  poco, ma  si liberano delle energie inaspettate.
Come al solito questa cosa riesce più facile ai ragazzi che a noi adulti...
In effetti chi dà la colpa sempre  a qualche fattore esterno è prigioniero del "destino infame" e non vede prospettive di cambiamento e di crescita.
Chi invece sa distinguere i condizionamenti esterni dalle proprie scelte personali ha una marcia in più. Si sente libero di scegliere e responsabile delle proprie scelte.
Tecnicamente lo chiamano "locus of  control" ma io sono un apprendista non uno studioso e osservo le persone intorno a me... c'è chi si lamenta e si giustifica e chi si rimbocca le maniche e si dà da fare. E la  differenza si vede nel modo di affrontare la vita.
Così vedo dei ragazzi che crescono e "resistono" di fronte a situazioni oggettivamente difficili (poi spero che prima o poi qualcuno sappia dirmi perché il grado di difficoltà della vita può essere così diverso tra un ragazzo e un altro...) e altri che si identificano con le loro disgrazie e si sentono senza via di uscita.
Forse si tratta di fare la scoperta che come esseri umani ci rimane sempre la possibilità di scegliere.
E scegliere invece di subire la nostra vita cambia già tanto le cose.
Certo non basta, serve anche una buona dose di forza  di volontà per scegliere quello che è bene anche potendo fare il male... ma su questo abbiamo tutti da imparare... magari provando a capire su quali forze attingere... ma è un altro discorso...

giovedì 28 gennaio 2016

Il sorprendente quotidiano



Da quando sono adolescente uso prendere appunti personali su quanto mi capita. Sono per lo più riflessioni e monologhi che a volte sfociano in preghiera.
Da un paio di anni  sono passato ad un file che si chiama "note personali"  e che aggiorno di tanto in tanto. E' più comodo perchè posso aggiornarlo sul cellulare o sul pc. Soprattutto rileggo senza problemi quello che ho scritto... magari ha perso un pò il fascino del taccuino che portavo sempre con me...
Sono andato a rivedere cosa ho scritto nel 2015 e  - me ne sono accorto adesso - avevo messo un sottotitolo subito dopo il titolo  NOTE PERSONALI: "il sorprendente quotidiano".
Pensando a tante piccole e grandi cose accadute durante l'anno, agli incontri, alle parole ascoltate, alla malattia e alla morte di papà, alle tante situazioni di sofferenza e di gioia intorno a me non posso che confermare il sottotitolo.
Risultati immagini per Dio delle sorpreseRicordo ora di averlo messo un pò in polemica con il "terribile quotidiano" con il quale dobbiamo fare tutti i conti. Un quotidiano che è fatto di fatiche, conflitti, paure, tragedie vere e proprie. Ma la giornata di oggi e quella di domani non sono solo terribili! Sono soprattutto Sorprendenti!
Se mi lascio sorprendere e stupire dalle persone e soprattutto dal Dio della Vita e delle Sorprese!
Spero di continuare ad averlo come sottotitolo... non solo quando le cose vanno bene ma in ogni momento... oggi un uomo mi ha sorriso, non lo conoscevo... si sono solo incrociati i nostri sguardi e ha sorriso... non ricordo nient'altro di quel momento... ma anche questo è una bella sorpresa!
Per poter imparare da ogni giornata, per "rubare con gli occhi" dal libro della vita spero di non perdere la capacità di stupirmi.