sabato 9 aprile 2016

Cosa avrà fatto il Padre Misericordioso finita la festa?

Lavoro in un centro di accoglienza per ragazzi e quindi ho la fortuna e la gioia di poter riaccogliere a braccia aperta tante volte i ragazzi che se ne vanno per la propria strada rifiutando la proposta iniziale. E’ sempre una esperienza molto bella. Accoglierli contenti di rivederli quando tutto faceva pensare che non sarebbero più tornati.
Poi però una volta riaccolto il ragazzo ha bisogno di capire cosa deve e può fare. Non sempre la proposta inziale è ancora valida e possibile da percorrere… il posto in casa famiglia non c’è più, il corso ormai è finito… o pieno...  quella proposta di lavoro è stata presa da  un  altro… certo rispetto alla scuola possiamo  non dover sottostare a regolamenti scritti a tavolino, spersonalizzati  e uguali per tutti come  il numero di presenze, gli orari, le conoscenze e le competenze. Possiamo veramente con creatività confezionare un abito su  misura. Comunque può essere che non sarà l’abito progettato inizialmente anzi spesso è così.

Allora penso al Padre della parabola, finita la festa per il ritorno del figlio tanto atteso. Il giorno dopo, si sarà dovuto mettere a tavolino con questo il figlio e forse anche con l’altro ormai rassegnato, anche se non ancora convinto, della decisione del padre. Avranno dovuto stabilire in che modo il figlio sarebbe  ritornato in casa e  al lavoro, in quale ruolo, con quali risorse e con quale paga visto che parte dell’eredità è stata comunque dilapidata.
Non si dice nulla di questo, si vuole sottolineare solo la bontà del padre capace di riaccogliere, sicuramente più e  più volte. Si perché non credo che il figlio sia diventato improvvisamente  perfetto dopo tutto quello che aveva passato e con tutto quello che si era bevuto… 
Peccato non  ci sia una parabola che ci aiuta a capire il dopo. Dai ragazzi e da tanti “padri-educatori” osservati mi sembra di aver capito  che si può riaccogliere anche più volte senza dimenticare il passato ma anche senza farsi condizionare dal passato. Che le cicatrici rimangono e vanno accettate come limiti inevitabili che rendono comunque il rapporto diverso. Mi piace pensare che diverso significhi una cosa nuova e anche arricchita dalla rielaborazione degli errori commessi.
D’altra parte il padre-educatore non  potrà non continuare a fare i conti con l’altro fratello, quello ligio alle regole,  che continuerà a puntare il dito e a sottolineare ad ogni più piccolo errore limiti ed errori dell'altro: “lo vedi! Non è cambiato per niente! Andate in quel posto lui, tu e la tua bontà! Non dovevi riaccoglierlo!".
Io credo che con santa pazienza il padre avrà continuato ad amare entrambi i figli accettando le rispettive fragilità, accompagnandoli nel percorso della vita senza fargli mancare il proprio sostegno. Troppo buono? Sicuramente più buono di quando ciascuno di noi è capace. Di una bontà che sa accogliere l’uomo e valorizzarlo così come è, comprendendo senza colludere con il male.
Mi piace pensare che a lungo andare questo atteggiamento del padre si sia riversato sui figli e che a loro volta siano diventati a modo loro dei padri misericordiosi. Mi piace pensare che gli stessi figli siano diventati capaci di perdonarsi a vicenda tra loro, se non per convinzione, almeno per amore di questo padre che li voleva uniti.
Mi piace immaginare che dopo la morte del padre il più piccolo abbia detto all’altro: “a me non spetta nulla, ho già avuto la mia parte a suo tempo”. E che l’altro abbia risposto: “non fare  lo scemo, rimaniamo insieme  e  facciamo a metà,  papà avrebbe  voluto così”.

Mi piace pensare che l’amore avrà trionfato anche sulla giustizia oltre che sul rancore.
Forse mi immagino sia andata così perché chi ha raccontato questa storia per primo si è comportato in questo modo e anche perché non posso non osservare guardandomi intorno che non solo l’odio genera odio e la violenza genera violenza, ma anche l’amore porta amore e il perdono suscita il perdono.

Così come capita con i nostri ragazzi: riaccolti di nuovo ricominciano con slancio, poi ricadono, poi ricominciano, poi ricadono di nuovo. Ma se gli diamo ancora un’altra e un’altra possibilità allora ad un certo punto scatta qualcosa dentro di loro (certo mica  in tutti… o meglio non in tutti in poco tempo… ma questa è un’altra storia…), si sentono accettati così come sono e cominciano a cambiare, addirittura a riconoscere che gli si vuole bene, addirittura cominciano a ri-cambiare, e qualche anno dopo più di qualcuno viene a raccontarti non più di come ha dilapidato l’eredità delle risorse messe a disposizione ma di come ha cominciato a costruire una propria storia  e progetto di vita.
Ecco un modello a cui ispirarmi nel mio cammino di apprendistato senza pretendere di divenire proprio così… perché dentro di me c’è sempre anche il figlio ribelle che ogni tanto parte per la tangente… e qualche volta anche quello maggiore che punta il dito...e continuo ad aver bisogno di un Padre…

 

 

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