Quando avevo 14 anni e la comunità
europea muoveva i primi passi mi fecero fare a scuola un questionario
che mi è rimasto sempre impresso. Mi chiesero tra le altre cose se
mi sentivo di più un cittadino di Roma, d'Italia, D'Europa o del
Mondo. Istintivamente risposi di Roma (avrei voluto addirittura dire
della Roma!), poi d'Italia. Il resto mi sembrava troppo lontano.
Crescendo e girando un po' il Mondo e soprattutto incontrando tante diverse persone, la mia scala di appartenenza si è
necessariamente e decisamente invertita.
Condividendo pezzi di vita con persone di culture, nazioni,
religioni diverse mi si è aperto – proprio come si dice - un
mondo. Il mondo.
Oggi mi sembra di sentire tante persone
– ma ahimè ben più adulte dei 14enni di ieri e di oggi– che
continuano a pensare che l'unica appartenenza che avvertono è
sentirsi parte della propria città e nazione. Gli altri sono
avvertiti come stranieri ed estranei possibilmente da tenere lontani
con tutti i mezzi possibili.
E' per questo, credo, che chi dice
“prima gli italiani!” ha ragione su un punto: dobbiamo cominciare
dai nostri concittadini a far comprendere che l'essere nato in una
città o in un'altra, in una cultura o nazione, in una famiglia ricca
o povera o disperata è un accidente e non un merito personale. Che
per poter giudicare la vita di un altro bisogna essersi messi nei
suoi panni, occorre toccare con mano la sua situazione. E allora forse si capisce perché si lascia tutto per provare a cercare una vita migliore. Che spesso la
storia la scrivono i ricchi ma ne fanno parte tutti. Che è giusto
cercare di far crescere ogni cultura e stato ma che il mondo è uno
ed è giusto che se io - nato in Italia - ho avuto diritto ad un passaporto che mi ha consentito di girare e conoscere il Madagascar, il
Paraguay, l'Albania... è giusto pensare che la stessa cosa deve
essere permessa a chi proviene da questi e da qualsiasi altro paese.
Ma “prima gli italiani!” significa
per me investire tempo e spazio nel dare la possibilità a tanti amici e concittadini di uscire dall'ignoranza (nel senso di non
conoscere proprio) il valore della persone, delle lingue, delle
diversità umane perchè non si facciano prendere dalla paura del
diverso e sopratutto non cerchino privilegi personali ma la crescita
di tutta la comunità umana almeno nella porzione di spazio e di
tempo dove sono/siamo capitati.
Più che la scuola possono aiutare esperienze personali di incontro che dovrebbero poter fare tutti gli italiani.
Io spero che “Prima gli italiani!”
voglia significare che siamo i primi a comprendere che l'accoglienza
è il primo nome della pace, che la giustizia e la politica
significano mettersi in gioco in prima persona, fare la propria parte
sempre e comunque ciascuno secondo le proprie possibilità.
Purtroppo ancora non è così. Ma la
colpa non è solo dei politici che fanno la voce grossa. La
responsabilità è di ciascuno. Di ogni uomo e donna. E' anche mia e tua! Soprattutto quando ci contrapponiamo di fronte alle difficoltà cercando prima il proprio interesse piuttosto di metterci insieme a ragionare e a cercare con creatività
ed entusiasmo le risposte possibili...
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